Cappella Sistina: Il Giudizio Universale

di Michelangelo Buonarroti

Centottanta metri quadri di affresco, quattrocento figure, cinque anni di lavoro: sono questi gli incredibili numeri del Giudizio Universale e del genio solitario di Michelangelo.

Quando si pensa alla Cappella Sistina, si considerano la stupenda volta affrescata ed il Giudizio, come se fossero stati realizzati allo stesso tempo. In realtà da quando la volta fu conclusa, passarono più di vent’anni, prima che si iniziasse a pensare al Giudizio.

La Sistina, era già considerata un capolavoro, eppure c’era la sensazione che mancasse qualcosa, una scena conclusiva. Così si pensò ad un affresco che ricordasse la fine dei tempi, quando tutte le anime verranno giudicate. Questo tema era quasi d’obbligo, proprio perché la decorazione della cappella partiva dalle origini, dalla Creazione.

Senza dubbio influenzò una scelta del genere anche il clima che si respirava nella città papale dopo il tragico Sacco di Roma del 1527 ad opera dei Lanzichenecchi.

Così, nel 1533, dopo poco più di venti anni, papa Clemente VII de’ Medici pensò nuovamente a Michelangelo e gli chiese di tornare a Roma.
Quasi tutti gli artisti avevano lasciato la città e anche lui, a causa anche del potere del suo rivale Raffaello presso la Corte papale, si trovava a Firenze dove lavorava come architetto e scultore.

La sua risposta al papa si fece un po’ attendere finché, un anno dopo, nel 1534 tornò finalmente a Roma, forse un po’ troppo tardi, dato che papa Clemente VII morì appena due giorni dopo.

Il nuovo papa Paolo III decise di mantenere i buoni rapporti con lo scultore e così andò a trovarlo personalmente a casa sua. Qui vide un cartone del Giudizio Universale che Michelangelo aveva preparato per Clemente VII e lo approvò immediatamente.

Ma l’artista, nonostante il passare degli anni, aveva ancora in mente la tomba di Giulio II. Il suo carattere poi non era si affatto addolcito nonostante il tempo, quindi anche per Paolo III non fu certo semplice convincerlo ad abbandonare ancora una volta l’idea del mausoleo per dedicarsi alla Sistina.

Naturalmente ci volle un po’ di tempo e nuove discussioni, prima che i lavori iniziassero. Ad esempio, Sebastiano del Piombo, aveva convinto il papa a far eseguire il Giudizio ad olio. Michelangelo non si oppose, semplicemente non iniziò a lavorare.

Quando gli furono chieste spiegazioni si sfogò dicendo che avrebbe eseguito l’opera solo a fresco e che dipingere a olio era un’arte da donna che potevano pensare di praticare solo persone pigre e svogliate come Sebastiano. Così sia il papa che il pittore insultato non ebbero scelta e si convinsero del fatto che l’affresco fosse la tecnica ideale.

Finalmente nel 1536 Michelangelo iniziò a dipingere il Giudizio.

Questa volta la notizia si era già diffusa in tutta Italia e l’artista era al vertice della sua fama soprattutto dopo la morte del detestato Raffaello. Tutti gli occhi erano rivolti sul suo lavoro, tanto che il poeta Pietro Aretino, nel 1537, gli inviò una lettera dandogli consigli sulla disposizione delle immagini. Per tutta risposta Michelangelo affermò che non ne aveva bisogno, perché il lavoro stava ormai per essere concluso; in realtà fu un altro dei suoi stratagemmi per tenere lontani dalla sua opera occhi indiscreti.

Michelangelo però non fu sempre così fortunato. Durante i lavori, papa Paolo III andò in visita alla Sistina col suo seguito di prelati. Fra questi vi era, il cerimoniere del Papa, Biagio da Cesena, quest’ultimo rimase fortemente scandalizzato dalla grande quantità di personaggi nudi, e protestò animatamente affermando che un affresco del genere era un’opera degna al massimo di una parete di un’osteria.

Per tutta risposta Michelangelo lo raffigurò all’inferno, come Minosse il giudice delle anime, con due grandi orecchie d’asino e un serpente intento a mordergli i genitali. Quando il cerimoniere, risentito, protestò, il papa gli rispose che sfortunatamente la sua giurisdizione non si poteva applicare negli inferi.

All’inizio dell’opera Michelangelo fu costretto a distruggere due suoi affreschi che si trovavano già su quella parete e due storie del Perugino. Poi creò una parete leggermente inclinata, perché non si coprisse di polvere. Contrariamente a quanto accadde per la Volta, nel Giudizio, per collegare le varie scene, non ebbe bisogno di inventare un’architettura dipinta.

Michelangelo si ritrovò così di fronte ad un’enorme parete bianca su cui il suo genio avrebbe toccato i massimi livelli. Il suo solo aiuto e la fonte d’ispirazione erano la Bibbia e la sua familiarità con Dante, insieme alle discussioni sulla divisione della Chiesa dopo la Riforma di Lutero, attualissime al suo tempo.

L’artista era molto sensibile a questi argomenti, grazie soprattutto ai suoi contatti con i circoli della Riforma Cattolica, i quali sostenevano che per ottenere la salvezza le pratiche religiose non servissero, la fede da sola era sufficiente.

Tutte le rappresentazioni del Giudizio, fino ad allora, avevano messo Dio in trono al centro, con gli angeli e i santi disposti su linee orizzontali. Michelangelo attuò ancora una volta una vera e propria rivoluzione, sviluppando il racconto su degli assi perpendicolari.

La sua opera invade l’enorme parete bianca, che sembra quasi esplodere in un vortice di personaggi che ruotano tutti intorno a una figura centrale, apparentemente senza regole. In realtà basta osservare con maggiore attenzione per rendersi conto che la scena inizia a sinistra, dove i beati salgono verso il cielo.

Dio è al centro, ma questa volta ha le sembianze di Cristo Giudice, e la sua posizione è la stessa di quella dell’Apollo del Belvedere, la celebre statua che si trova in Vaticano, imitata per tutto il Rinascimento. La sua mano, con un movimento circolare, muove tutta la scena, lasciando cadere i dannati verso l’Inferno e facendo salire i beati in Cielo.

Il Giudizio Universale della Sistina non ha più nulla a che vedere con il trattato di anatomia della volta. Qui i corpi nudi, soprattutto quelli dei dannati, non hanno più posizioni nobili e composte, ma sono goffi, infangati, mentre urlano e si accalcano, sembrano quasi caricature ricoperte da tutta la negatività della condizione umana.

Se ci concentriamo nella scena, potremmo percepire le urla di dolore, il chiasso delle anime che si affollano verso la propria sorte e le trombe assordanti che annunciano la fine dei tempi. Solo al centro la scena sembra sospesa in un silenzio irreale.

Persino i santi e i martiri, tutti proiettati verso Cristo, sono ansiosi e terrorizzati in attesa che venga pronunciato il verdetto finale. Anche la Madonna, al suo fianco, è intimorita e rassegnata. Alcuni beati si baciano, e si abbracciano in una scena di enorme sollievo; intanto in alto, al di fuori del movimento circolare, gli angeli trasportano la croce e i simboli della passione quasi con fare minaccioso.

Cristo giudice è avvolto da una luce accecante ma sia i beati che i dannati non possono fare a meno di guardare verso di lui.

Anche nel Giudizio Universale le immagini non hanno tutte la stessa prospettiva. Le figure dei beati e dei dannati si uniscono in gruppi informi, o si allontanano e lasciano spazi di azzurro e ogni angolo è affrescato con una cura infinita per i minimi dettagli.

Alcuni dei santi si riconoscono facilmente, perché tengono in mano i simboli della loro storia o del loro martirio. San Pietro, alla destra di Gesù, tiene le due chiavi, San Lorenzo la graticola e San Sebastiano è inginocchiato con in mano le frecce con cui fu martirizzato.

Una delle immagini più famose è San Bartolomeo, morto scuoiato: il santo, seduto su una nuvola, è il ritratto di Pietro Aretino, il poeta toscano che aveva osato criticare le nudità, ma il particolare più celebre è la pelle che il santo tiene in mano, nella quale Michelangelo riprodusse il suo autoritratto; l’artista, infatti, nel pieno della sua opera creativa, si sentiva davvero scuoiato da quelle critiche così insistenti.

In basso a destra, gli angeli dell’Apocalisse suonano le loro trombe con tutto il fiato che hanno in corpo, gonfiando le guance all’inverosimile per risvegliare i morti. Angeli e demoni impietosi lasciano cadere i dannati disperati nell’Inferno. Man mano che si va verso il basso, le scene si fanno sempre più terribili e appare Caronte che caccia via le anime a colpi di remo dalla sua barca spingendole verso Minosse, il giudice infernale, avvolto da un serpente.

La figura di Minosse, oltre che col cerimoniere del Papa, è stata identificata anche con Pierluigi Farnese, figlio di papa Paolo III, che a Roma era conosciuto per atti violenti e di sodomia.

A sinistra intanto, secondo la teoria della Resurrezione della Carne, i risorti salgono al cielo recuperando i propri corpi. Alcuni attaccati a un rosario, una critica alle teorie di Lutero.

Una delle prime cose che colpisce l’attenzione, in questo meraviglioso affresco, è senza dubbio l’intenso azzurro oltremarino completamente assente invece nella volta. Questo colore, così vivo, fatto con lapislazzuli tritati, all’epoca era un materiale costosissimo.
Nonostante tutto Michelangelo ne fece un largo uso, dato che in questo caso era il papa a pagare i materiali, mentre vent’anni prima, per la creazione della volta tutti i costi erano stati a carico dell’artista!

Le sue tecniche furono ancora una volta rivoluzionarie e usò per ogni immagine un espediente diverso: realizzò la Madonna con la tecnica del puntinato, per dare maggiore realismo e profondità; alle figure diede dimensioni diverse, raffigurando quelle più in alto alte più di due metri, e quelle più in basso poco meno di una persona, tutto per dare l’impressione a chi guarda di essere davvero dentro la scena.

Fin da quando fu aperta al pubblico, la Cappella Sistina suscitò allo stesso tempo stupore e ammirazione, ma inevitabilmente anche aspre polemiche, che proseguirono nel corso degli anni, fino all’accusa di immoralità per l’autore.

Secondo i moralisti della corte papale, era un’indegnità che ci fossero così tanti nudi in un luogo così sacro, e da quel momento si tentò in tutti i modi di occultare l’opera di Michelangelo, tanto che papa Paolo IV, progettò addirittura di distruggere l’affresco per allargare la cappella ma fortunatamente non riuscì nel suo intento.

Le critiche proseguirono fino a quando il Concilio di Trento, nel 1563, per rispondere alle accuse di paganesimo da parte dei Luterani, stabilì di coprire le nudità delle figure considerate “oscene”.

Così iniziò la “campagna delle foglie di fico”, ispirata alle nudità coperte di Adamo ed Eva, e Michelangelo non poté opporsi, perché morì un anno dopo la decisione del Concilio.

L’ingrato compito fu affidato a un seguace dell’artista, Daniele da Volterra, che per coprire le nudità delle figure aggiunse panneggi e lembi di stoffa. Creò così 41 “braghe” che gli fecero guadagnare il soprannome poco gentile di “braghettone”. Santa Caterina d’Alessandria, con la ruota del martirio, fu completamente rivestita e San Biagio, alle sue spalle fu ridisegnato e riaffrescato completamente.

Non tutto fu perduto, però: un pittore, Marcello Venusti, fece in tempo a realizzare una copia senza censure che oggi si trova a Napoli, al Museo di Capodimonte.

Nel corso dei secoli, la Sistina subì moltissimi ritocchi e piccoli restauri, soprattutto a causa delle crepe e dei depositi salini che si erano formati sulle pitture, ma molti di questi interventi peggiorarono la situazione.

La folla dei visitatori, il fumo dei bracieri e i grassi prodotti dalle candele, crearono nei secoli una patina scura sull’opera di Michelangelo. Quando nel 1981 si decise di procedere ad un restauro, per rimuovere i depositi di sporco ci vollero ben 13 anni, molti di più di quelli impiegati dall’artista per creare l’opera; anni in cui i restauratori, durante questo lavoro minuzioso, hanno avuto modo di sperimentare come aveva lavorato l’artista, provando il suo stesso disagio.

Anche il moderno ponteggio utilizzato per il restauro fu costruito partendo da quello di Michelangelo, individuando persino gli antichi punti d’appoggio.

Dopo numerosi esperimenti e un lavoro accurato e difficile, il restauro ha portato a una grande rivelazione e la Sistina si è manifestata nel suo reale splendore con colori sgargianti e luminosissimi.

Dopo quasi 500 anni Michelangelo è riuscito ancora una volta a suscitare polemiche, proprio come la prima volta che gli affreschi furono mostrati al pubblico.

Da secoli ormai si pensava a una Sistina dai colori cupi, così quell’esplosione di blu e di tinte così vivaci causò grande stupore e allo stesso tempo accese le critiche di chi non la concepiva con colori così vivi pensando che l’opera fosse stata ritoccata.

In realtà le pareti vennero semplicemente ripulite dalla patina del tempo e il capolavoro è riapparso esattamente come l’aveva pensato l’artista. Solo le “braghe” non sono state rimosse del tutto, ne rimangono infatti ancora 24, considerate “storiche” perché legate al Concilio di Trento.

Il genio di Michelangelo riesce a stupire ancora ai giorni nostri, e possiamo ammirarlo a bocca aperta, come avevano fatto i suoi contemporanei, col naso per aria, i piedi per terra, immaginando per un attimo anche noi di volare immersi in quel blu.

Created: 09 Ago 2013
Last update: 01 Lug 2023
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