Prima e più importante fra le grandi strade consolari che uscivano da Roma era la via Appia, la cosiddetta 'Regina viarum', voluta nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco per collegare direttamente Roma a Capua. In seguito all'espansione di Roma nel Mezzogiorno, la via fu più volte prolungata fino a raggiungere Brindisi, nel II secolo a.C. – venendo a costituire l'asse viario di comunicazione con l'Oriente - per un percorso totale di 365 miglia, pari a circa 540 Km. Per coprire l'intero tragitto occorrevano 13-14 giorni di viaggio, durante i quali si poteva sostare presso le numerose stazioni di posta per il cambio dei cavalli, spesso dotate di luoghi di ristoro e di alloggio per i viaggiatori.
Il tracciato rispondeva a una concezione sorprendentemente moderna, mirando dritto alla meta e collegandosi alle varie località attraverso raccordi secondari. Per la sua realizzazione, ovviamente, si incontrarono grossi ostacoli, superati attraverso imponenti opere di ingegneria. La via Appia era larga circa 4 metri (14 piedi romani) – necessari a consentire il passaggio contemporaneo in entrambi i sensi di marcia - e fiancheggiata da due marciapiedi in terra battuta, delimitati da un cordolo di pietra e larghi circa un metro e mezzo. Lungo il percorso, alla distanza di un miglio, erano collocati cippi e colonne.
Avvicinandosi ai centri abitati, la via era costeggiata da grandi ville patrizie – tra cui la celebre Villa dei Quintili, la più grande delle dimore suburbane, che comprendeva numerosi edifici, ninfei, e un vastissimo peristilio-giardino - e, soprattutto, da monumenti funerari e tombe. Tra queste, celebre la tomba di Cecilia Metella, all'altezza del II miglio, eretta poco dopo il 50 a.C. per la figlia di Q.Cecilio Metello Cretico e moglie di Marco Crasso, figlio del più noto triumviro (insieme a Cesare e Pompeo).
Si tratta di una grande torre cilindrica – alta 11 m e di 29,50 m di diametro - rivestita in travertino e coronata da un fregio marmoreo in rilievo con la classica decorazione a festoni e bucrani. Originariamente doveva presentare una copertura a tumulo in terra, mentre la cella funeraria interna doveva essere voltata con una calotta. All'esterno, la merlatura è parte di una sopraelevazione medioevale, risalente all'XI secolo, quando la tomba fu trasformata in torre e inserita nella fortificazione dei Conti di Tuscolo, che inglobava l'Appia.
Lungo il percorso, a partire dal secondo miglio, si incontrano alcune tra le più importanti catacombe romane: le Catacombe di S. Callisto – il più importante sepolcreto cristiano di Roma, fin da II secolo, con molte sepolture di martiri e papi, che si estende su 15 ettari di terreno per un percorso che raggiunge quasi venti chilometri – le Catacombe Ebraiche, le Catacombe di S. Sebastiano – annesse all'omonima Basilica, furono le prime ad essere denominate con l'espressione derivata dal greco "Kata'Kymbas", con il significato di "presso le cave", con la quale vennero poi designati tutti i cimiteri sotterranei.
Le Catacombe di S. Sebastiano, iniziate nel III secolo e successivamente ampliate, fino a comprendere quattro piani di gallerie, sono tra i pochissimi cimiteri cristiani ad essere sempre rimasti accessibili, pertanto nel tempo furono danneggiati pesantemente, tanto che oggi è visitabile soltanto parte del secondo piano.
All'altezza del VI miglio, in uno stato di abbandono e dissesto, si raggiunge il più grande sepolcro dell'Appia, detto di Casal Rotondo. Risalente all'età augustea (I sec. a.C. I sec. d.C.), è del tipo a cilindro, originariamente rivestito di travertino e sormontato da tumulo in terra. Nel tratto successivo della via si incontrano numerose tracce e resti di sepolcri, frammenti architettonici e iscrizioni. Giunti al VII miglio, al termine di una deviazione – probabilmente dovuta alla necessità di rispettare un luogo sacro preesistente – si può scorgere un lungo tratto delle arcate dell'acquedotto che riforniva la villa dei Quintili mentre, poco oltre, la via viene bruscamente interrotta dalla viabilità moderna.
L'Appia rimase in uso fino al Medioevo ma cadde poi in abbandono. Riaperta solo a fine Settecento, ai primi all'Ottocento risale la prima proposta di farne un parco archeologico mentre la prima reale risistemazione fu intrapresa sotto Pio IX, ad opera di Luigi Canina. Fu poi con il Piano Regolatore del 1931 che si pianificò la realizzazione di "un grandissimo parco comprendente tutta la zona cosparsa di antichità situata tra la Via Ardeatina e la Via Appia Nuova ed il cui asse sia costituito dalla Via Appia Antica", progetto concretizzatosi soltanto nel 1988, con l'istituzione del Parco regionale dell'Appia Antica.
L'itinerario, seppure compromesso da uno stato di crescente degrado, costituisce una delle poche testimonianze superstiti di quello che doveva essere una strada romana, oltre a conservare le splendide suggestioni dei pochi scorci rimasti della Campagna romana, così come doveva presentarsi fino ai primi decenni del Novecento.
Le tombe romane lungo la Via Appia
La parte meglio conservata della via è quella subito fuori delle mura, dove subito si cominciò a costruire le prime tombe: inizialmente a camera, vedi quella degli Scipioni, dei Servilii e dei Metelli, di cui parla Cicerone.
Poi dalla fine del II sec. a.C. con la diffusione del monumento funerario isolato, la via assunse l'aspetto che ancora in parte conserva, due linee quasi ininterrotte di sepolcri di tutte le epoche e di tutte le forme e la iscrizioni che invitano i passanti a fermarsi, a leggere e ricordare.
Poi anche i cristiani seguirono questa tradizione e qui aprirono le più importanti catacombe. Sotto la Repubblica, la cremazione era prevalente e, poiché le urne cinerarie prendevano poco spazio, venivano costruiti i cosiddetti "colombari" edifici che potevano contenere migliaia di urne cinerarie. Sotto l'Impero, al contrario si diffuse la pratica dell'inumazione, specialmente per i cristiani, e necessitando uno spazio maggiore per le inumazioni, le catacombe si ingrandirono, e dal IV sec. d.C esse divennero quasi esclusivamente cristiane