La costruzione della cupola del Duomo di Firenze, opera di Filippo Brunelleschi, può considerarsi una delle maggiori imprese costruttive del Rinascimento. È l'espressione più alta di un nuovo atteggiamento, che poneva l'uomo e le sue capacità al centro del mondo e individuava nell'antichità classica le premesse per la rinascita della cultura dopo i secoli bui del Medioevo.
La società rinascimentale si basava su valori completamente diversi da quelli medioevali di cavalleria e di nobiltà. I nuovi ideali erano l'autosufficienza, la virtù civica, l'intelligenza e la fiducia quasi illimitata nella capacità dell'uomo.
Anche se il Medioevo non era poi tanto lontano, e nemmeno poteva considerarsi quel mondo di arretratezza che a lungo si è dipinto, gli uomini del Rinascimento erano ben consapevoli di essere diversi: in nemmeno vent'anni, infatti, e a partire proprio dalla costruzione della cupola del Brunelleschi, un limitato gruppo di artisti, in una sola città, Firenze, metteranno in atto una delle rivoluzioni più importanti della nostra storia culturale.
La figura di Brunelleschi è in sintonia con questo mondo nuovo. Egli incarna perfettamente la figura dell'uomo rinascimentale, libero, intelligente, fiducioso nella forza delle sue idee.
Era figlio di un notaio fiorentino benestante, era stato educato in modo liberale e fin da ragazzo si era interessato di scultura, di meccanica, di matematica. A lui si deve lo studio della prospettiva lineare che si era già utilizzata ma senza un riferimento preciso di regole.
Nel Rinascimento, infatti, molti artisti sentono la necessità di codificare, di organizzare in trattati l'enorme patrimonio di conoscenze ereditate dal passato, in modo da poter operare su dei riferimenti comuni. Brunelleschi, però, non era un uomo di lettere, non era nemmeno particolarmente colto. Vasari, autore nel '500 delle celebri 'Vite di artisti', ci dice che egli "ragionava con la pratica esperienza", e ce lo descrive come uno dei primi grandi tecnici del mestiere. Fu anche il primo a introdurre la figura dell'architetto progettista e unico, assoluto responsabile di un'opera: bisogna pensare che, nel Medioevo, si innalzavano intere cattedrali senza un progetto vero e proprio, semplicemente affidandosi sul cantiere all'esperienza della collettività. Inoltre, i lavori spesso si protraevano per decine, a volte centinaia d'anni, rendendo impossibile la previsione e il controllo di tutte le fasi della costruzione.
Così, quando, nel 1418 Brunelleschi si aggiudica il concorso bandito dall'Opera del Duomo, per completare con una volta la chiesa di Santa Maria del Fiore, opera di Arnolfo di Cambio, il suo progetto è talmente rivoluzionario da risultare inconcepibile, e suscita, anche se solo inizialmente, la diffidenza dei committenti e il malcontento degli operai.
È celebre l'episodio dello sciopero delle maestranze: Brunelleschi licenzia tutti in blocco e assume, al loro posto, dieci 'Lombardi'. Gli operai, rimasti senza lavoro, e feriti nell'orgoglio, tornano indietro e chiedono di essere riassunti. Brunelleschi li accontenta, ma con un salario inferiore.
Ma cosa aveva, questa cupola, di tanto sorprendente?
Brunelleschi ha un'idea geniale: sul modello delle grandi architetture romane, come la monumentale cupola del Pantheon, che da giovane aveva studiato e ridisegnato a fondo, concepisce una cupola ottagonale autoportante, che quindi non necessita di alcuna centina, e costruita con materiali diversi: pietra in basso, dove la curvatura è minima, per ottenere più resistenza, e mattoni in alto, perché più leggeri. E, per di più, la pensa doppia, formata da due calotte sovrapposte, quella verso l'interno spessa più di due metri e quella esterna soltanto 80 centimetri.
Una volta finita, la cupola si rivelò da subito come qualcosa di straordinario e di mai visto prima.
Due anni dopo la conclusione della cupola, nel 1436, venne realizzata la lanterna di coronamento, in marmo bianco, che portò l'altezza totale della cupola da 91 a 114 metri, una quota davvero impressionante, non solo per l'epoca. Brunelleschi morì nel 1446, e fece in tempo a vedere la sua opera praticamente finita, a parte alcune decorazioni che furono aggiunte in seguito. Fu sempre consapevole, naturalmente, di aver creato un capolavoro d'arte e d'ingegneria unico al mondo.
'Pare che il cielo ne abbia invidia' scriveva il Vasari, 'che continua a bersagliarla con saette, credendo che la sua fama abbia quasi vinto l'altezza dell'aria'.